Gli acresi nel “Lungo Risorgimento” (1799-1867).

IL PERIODO NAPOLEONICO (1799-1815).

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Gli Acresi nella Repubblica Partenopea (22 gennaio- 13 giugno 1799). Biagio e Luigi Giannone. I fratelli Angelo, Gaetano e Giuseppe Ferrari. Matteo Capalbo. Michele Cofone, Francesco Falcone. Saverio Spezzano. Francesco Pancaro.

Nella seconda metà del ‘700, i giovani che studiavano o avevano studiato a Napoli, come i fratelli Biagio e Luigi Giannone, i fratelli Angelo, Gaetano e Giuseppe Ferrari, Matteo Capalbo, Michele Cofone, Francesco Falcone, Saverio Spezzano, Francesco Pancaro e altri, “imbevuti dalle idee illuministiche, di Vico, di Genovesi, di Filangieri, erano ritornati ad Acri con la mente aspirante a progresso e libertà a modo francese, e formavano una classe di spiriti intelligenti e desiderosi di novità.”

Il loro sapere veniva trasmesso agli altri giovani con frequenti incontri e discussioni, rendendo il paese vivo culturalmente e aperto all’idea di un miglioramento economico e sociale.

Costituitasi la Repubblica partenopea nel gennaio del 1799, del cui governo provvisori facevano parte il famoso grecista Pasquale Baffi di Santa Sofia d’Epiro (CS) e il giurista Mario Pagano.

Quest’ultimo affidava a Biagio Giannone, suo allievo, il compito di rendere popolari il programma della nuova repubblica, che ritornato in Calabria portava a buon fine l’incarico avuto in tutto il distretto di Rossano, diffondendo le nuove idee fra i ceti popolari. Sicuro del loro trionfo rientrava in Acri, dove nella piazza, alla sua presenza, veniva piantato l’albero della libertà, i cui rami erano stati addobbati con nastri e si fece festa per tutto il giorno con canti e balli.

 

Ingresso nelle prigioni sotterranee del Castello di Corigliano C.
Ingresso nelle prigioni sotterranee del Castello di Corigliano C.

Biagio Giannone
Biagio Giannone

Si arruolava nell’esercito della Repubblica partenopea, Michele Cofone che alla sua caduta veniva imprigionato e successivamente liberato

Repressa nel sangue la Repubblica, ad Acri, venivano imprigionati 20 galantuomini ritenuti giacobini e i fratelli Biagio e Luigi Giannone. Questi ultimi catturati, per ordine del vescovo di Cariati, nominato dal Cardinal Ruffo, Preside della provincia, venivano incatenati e condotti nelle carceri di Corigliano Calabro, dove, come ricorda Luigi. “Qui languimmo sette mesi; colà ci stava ritto innanzi l’inesorabile carceriere Misciagna, da cui mi fu d’uopo comprare per cinque scudi la dolorosa gioia di essere avvinto a mio fratello: qui ci furono ribadite dai piedi le catene; qui sorgeva il ceppo; lassù si apriva una piccola feritoia, onde lugubre e scarna ci pioveva la luce”. E dopo sette mesi, scortatati da 60 militi, venivano trasferiti nelle carceri di Cosenza. Passavano per Acri e non veniva data loro la possibilità di salutare i vecchi e malati genitori.

Gli Acresi nel Decennio Francese (15 febbraio 1806-28 aprile 1815).

Erano al servizio di Giuseppe Napoleone e poi di Gioacchino Murat gli acresi Giuseppe Ferrari, Michele Cofone, Saverio Spezzano, Francesco Pancaro e Francesco Falcone.

Partecipavano col generale Verdier prima e col generale Manhes a partire dal 1810, a reprimere il brigantaggio, fomentato da borbonici e inglesi.

Francesco Falcone, era nipote di D. Luise Marincola, che veniva trucidato dai briganti nel 1806. Nasceva ad Acri, nel rione Padia nel 1781.Conseguiva a Napoli la laurea di dottore di legge. Era tra gli artefici della dura repressione del brigantaggio in Acri e nella provincia. Di lui il Capalbo scrive, “si distinse, in qualità di maggiore a capo di 2000 guardie provinciali, nel febbraio del 1807, all’assedio di Amantea, dove gli fu affidata una importante posizione. Nel 1809, con decreto reale, venne nominato Capitano della Legione provinciale di Calabria Citra e decorato di medaglia d’argento, coniata per la bandiera medesima.

Michele Cofone

Il colonnello napoleonico Michele Cofone
Il colonnello napoleonico Michele Cofone

Aveva fatto parte nel 1799 dell’esercito della Repubblica partenopea, imprigionato, era stato successivamente liberato. Si trovava a Napoli quando, nel mese di agosto del 1806, briganti massacravano in Acri il padre Saverio, il fratello Domenico e saccheggiavano la sua casa. “Alla tremenda notizia, tornava ad indossare l’uniforme e con altri acresi, al servizio del generale francese Verdier entravano in Acri e la liberavano dai briganti.

Sotto il governo di Murat, il Cofone, per la sua cultura e il suo valore pervenne al grado di colonnello della Legione Provinciale della Calabria Citra.

Dopo il 1815 si ritirava in Acri a vita privata. Ma, “Nel 1820, rivestendo la divisa militare, prendeva parte a Napoli, alla rivoluzione. Fallita questa, continuava a congiurare contro il governo borbonico, e presiedette la setta dei Carbonari, che teneva le sue adunanze, di notte, nel Convento di San Francesco di Paola.”

 

Giuseppe Ferrari e Saverio Spezzano

Giuseppe Ferrari

Saverio Spezzano
Ritratto che si trova nella casa dell’avvocato Michele Spezzano.

Quando il Re di Napoli, Gioacchino Murat, decideva di partecipare alla campagna di Russia con Napoleone nel 1812, lo seguiva un contingente di soldati del suo Regno, tra questi c’erano gli acresi Giuseppe Ferrari col Grado di capitano e Saverio Spezzano con grado di tenente, che si comportarono valorosamente. A Jaroslawl, sul Volga, dove l’esercito di Napoleone riportò perdite assai gravi, i soldati italiani al suo seguito si comportarono valorosamente i tra moltissimi feriti c’era il capitano Ferrari.

Il Capalbo, riporta integralmente un passo delle “Memorie storiche militari del 1812”, a cura dello Stato Maggiore Italiano, dove viene glorificato il comportamento eroico del capitano Ferrari.

Nel 1820, il Ferrari all’annunzio della Costituzione correva a Napoli, a sostenere il nuovo governo e dove pochi anni dopo moriva.

LA RESTAURAZIONE BORBONICA (1815-1861).

La Carboneria ad Acri

In Acri come ricorda Padula, erano presenti due “logge carbonare”, una “ligia ai principi unitari e costituzionali si organava nel convento di San Domenico, un’altra devota a Francesco I°, di cui faceva parte Saverio Spezzano ed era “presieduta da Michele Cofone che teneva le sue adunanze di notte nel Convento di San Francesco di Paola.

Fu merito di Luigi Giannone di aver sopito quei mali umori: le due logge ne fecero una, la nostra prode gioventù acrese si armò, e se i gigli non furono calpestati col destro piede, la Costituzione si ottenne, e la congiura trionfò.

Gli Acresi e il governo costituzionale del 1820-21.

Ad Acri il 15 febbraio, il Sindaco Saverio Baffi, assistito dal Decurionato e dai parrochi, provvedeva a preparare la leva ordinata, dal Governo Costituzionale, arruolando tutti i giovani che avevano compiuti i 22 anni. Ne facevano parte 97 giovani, di cui 92 erano contadini e braccianti, quattro erano civili e uno studente.

Veniva istituita, come disposto, anche la Guardia Civica che aveva il compito di assicurare l’ordine e la quiete pubblica.

 

Le rivolte nella Calabria Citeriore contro il Borbone 1837-1848:

La cospirazione di San Sisti del luglio 1837.

Il moto delle “Idi di marzo” a Cosenza del 1844.

La spedizione dei fratelli Bandiera.

La mancata insurrezione nel Regno nel 1847.

Il 1848 nella Calabria Citra

La rivoluzione del 1848 in Europa e in Italia.


Gli acresi Donato Salvidio e Francesco Sprovieri nella Ia guerra d’indipendenza
.

Gli avvenimenti politici del 1848 in Acri. Vincenzo Sprovieri, Vincenzo Padula. Vincenzo Molinari.

Ad Acri i giovani che cospiravano contro il Borbone e che partecipavano attivamente alle manifestazioni del 1848, erano quelli che avevano studiato nel Collegio italo-greco di S. Adriano in San Demetrio, che nel 1846 il Procuratore del Re definiva “Fucina del Diavolo” e i professori non erano altro che “settatori e divulgatori degli infernali disegni”, contro l’ordine Borbonico.

I più attivi erano Vincenzo Sprovieri, fratello maggiore di Francesco, Vincenzo Molinari e Vincenzo Padula che riuscivano a creare un clima di euforia nel paese, perché credevano in un reale cambiamento delle istituzioni.

Vincenzo Padula “Da gennaio ad aprile nelle sue lezioni, nelle sue prediche e nelle sue poesie inneggia alla libertà, alla caduta dell’odiato ministro di polizia Del Carretto, allo scoppio della Prima Guerra d’Indipendenza […]. Vincenzo Sprovieri fondava un Circolo popolare e democratico e fra gli animatori c’erano Vincenzo Molinari e Vincenzo Padula che ricopriva la carica di segretario ed oratore ufficiale. “Nel programma di quel circolo, (steso molto probabilmente dallo stesso Padula) era scritto: <<Abbattere il passato e preparare un novello ordine di istituzioni conformi ai diritti ottenuti; mutare le cose e rispettare le persone; istruire il popolo dei nuovi doveri che le nuove leggi gli impongono; modificare la ragione fallibile dei pochi con l’atto infallibile e l’infallibile opinione dei molti; distruggere e creare – ecco il nostro scopo… Il passato è irrevocabile, e mentre camminiamo verso le beate regioni della Libertà, guardiamoci perdio! Di guardare il passato dell’oppressione, che arde e rovina dietro di noi.”

Le adunanze di quel circolo si scioglievano al grido di «Viva l’Italia! Viva Carlo Alberto!».

Vincenzo Padula, “magna pars di quel circolo, al quale partecipava anche il più giovane fratello Giacomo, già avviato alla carriera forense – intrecciava le perorazioni patriottiche, umanitarie e filo sabaude, con le denunzie contro le clientele e le fazioni reazionarie locali, le une e le altre ripetute anche dal pulpito. In un rapporto di polizia del 14 dicembre 1854 si legge che «il Padula non si condusse bene nel 1848, spiegando sentimenti sovversivi e tendenze al liberismo e, trovandosi in quell’anno maestro nel seminario di Sanmarco, predicò, inculcando principi liberali e altre cose allusive a quell’infausta epoca; e in un altro rapporto redatto nello stesso anno dall’Intendente leggiamo che in Acri il Padula «aveva incitato quella popolazione a rivendicare da sé i beni comunali da diversi proprietari usurpati».

Il poeta componeva per gli avvenimenti del 1848 numerose poesie

Rapporto “sullo spirito pubblico della popolazione di Acri”.

Dopo i moti del 1844 scoppiati a Cosenza, il Sindaco era tenuto ad inviare mensilmente alle autorità di Pubblica Sicurezza un rapporto “sullo spirito pubblico della popolazione”.

Alla fine del mese di marzo del 1848, il Sindaco Filiberto Parvolo, inviava, quello relativo al mese di febbraio,

Il rapporto informava che tutta la popolazione, e soprattutto gli studenti e i giovani in generale, avevano accolto con soddisfazione la concessione della Costituzione elargita dal Sovrano, e si riteneva che la nuova forma di Governo era quella che poteva assicurare benessere e felicità alla popolazione del Regno.

Rassicurava che il paese era tranquillo e che tutti i funzionari pubblici e gli ecclesiastici, davano prova costante “di probità, di attitudine e religiosità, con felici risultati alla pubblica utilità”; che non vi erano “uomini turbolenti e che “ l’intiera popolazione si mostra attaccata all’attuale governo, e non si conosce alcuno d’avviso contrario”.

Mentre per quanto riguardava le condizioni di vita, informava che per buona parte della popolazione era “comoda e non priva del necessario, tranne nella classe de’ coloni e braccianti che nella generalità sono miserabili al presente più del solito non avendo potuto travagliare indefessamente per le continuate intemperie. Si chiederebbe necessario animare qualche lavoro pubblico, onde poter sollevare detta classe. Lo smercio di generi all’interno e all’esterno è scarso. La semina dei cereali si crede maggiore degli anni precedenti: nulla però può prevedersi sul ricolto venturo. Il bestiame ha molto sofferto per le intemperie. Non vi é lusso nella generalità dei contadini. L’interesse del denaro che si mutua si estende al 12 e 15 per cento. […] Faceva presente che la forma di delinquenza più marcata era il furto, perché la miseria e la fame spingeva molta gente a rubare generi alimentari e che qualche sospetto ladro veniva sorvegliato.”

Le elezioni politiche del 18 aprile

Venivano indette le elezioni per eleggere il parlamento per il 18 aprile. La circoscrizione elettorale della Calabria comprendeva Calabria Citeriore (Cosenza) con una popolazione di circa 428.000 abitanti, a cui spettavano deputati 10, un deputato ogni 40.000 abitanti, così distribuiti 4 al distretto di Cosenza, 3 a quello di Castrovillari, 2 a quello di Paola 1 a quello di Rossano; la Calabria Ulteriore (Catanzaro) deputati 9, La Calabria Ulteriore I deputati 13.

Le classi povere, la maggioranza della popolazione, non aveva diritto al voto, basato sul censo.

Le elezioni si svolgevano pacificamente. Dei democratici veniva eletto al primo scrutinio solo Domenico Mauro di San Demetrio Corone con 4.721 voti su 8044. Nel ballottaggio del 2 maggio a Cosenza venivano eletti i moderati: Ortale Tommaso; Valentini Raffaele; Pace Nunzio; Mauro Giuseppe (di Mangone); Marini Cesare, Sertorio Clausi Vincenzo Morgia Claudio.

Al primo scrutinio erano presenti nelle liste degli eleggibili alla Camera dei Deputati gli acresi Vincenzi Sprovieri che riportav ad Acri il più alto numero di voti, seguito da Girolamo Baffi, Vincenzo Molinari e Vincenzo Padula. Altri candidati di Acri, rilevati dai voti riportati a Cosenza, erano: “Baffi D. Michele voti tre; Cofone D. Michele voti uno; Gaudinieri Domenico voti due; Giannone Luigi voti uno; Padula Vincenzo voti 8; Rossi Francesco voti due. Non sono mancati i polizini in bianco.”

Occupazione delle terre marzo-aprile 1848

Mentre si preparavano le liste elettorali, tra marzo ed aprile i contadini di Acri e quelli dei vicini paesi albanesi, muovevano all’occupazione delle terre che facevano venire meno l’appoggio della borghesia terriera, impaurita dalla possibilità di perdere le loro proprietà.

A San Cosmo guidati da Alessandro Mauro occupavano il fondo Margiuglie, appartenente al Comune, mentre a San Demetrio i contadini con a capo Vincenzo Mauro, Domenico Mazziotti, Michelangelo Chiodi e dal sacerdote Antonio Marchianò occupavano il fondo <Castello> del Barone Compagna di Corigliano.

L’occupazione delle terre in Acri è cosi riportata da Vincenzo Padula nel suo giornale <<Il Bruzio>>

“Al 1848 l’ira popolare fino allora compressa finalmente scoppiò. Le popolazioni guidate dai più vecchi contadini ch’ivano innanzi portando in mano Crocefissi e Madonne irruppero nei terreni usurpati: illegale era quel procedere, e niuno il nega; si commisero atti di vandalismo, ed è verissimo; ma un dritto sacro ed imprescrittibile era in fondo a quel movimento, ed anche questo è innegabile.

Che fecero gli usurpatori? Si giovarono della reazione borbonica ed accusarono come «Comunisti» e discepoli di Fourier i nostri poveri tangheri che si credevano trasportati nella valle degl’incantesimi, quando il Giudice gravemente gl’interrogava: Siete voi socialisti? – Di quegl’infelici, il cui torto era di aver ragione, alcuni morirono nelle prigioni, altri furono mandati in esilio: e per questo modo gli usurpatori unirono al furto prima l’immortalità, poi la falsificazione, poi l’omicidio, poi le lacrime di mille famiglie, e gli onesti fremettero in terra, e gli angioli piansero il Cielo.

La Storia dirà come di quelli movimenti incomposti del 48 il borbonico governo avesse gran parte. Quando dopo i fatti di armi di Castrovillari il generale Busacca venne in Cosenza, ai proletarii di

tutti i paesi, che si recavano a lui implorando giustizia, egli dava eccitamenti alle rapine e al sangue. E rapine si fecero, e sangue si sparse; ma compiuta la reazione, il governo, che prima avea favoriti i proletarii a danno degli usurpatori, favorì questi a danno di quelli; poi cangiando metodo disgustò gli uni e gli altri con le operazioni del Barletta, che furono arbitrarie in parte, incompiute in tutto.”

Restaurazione, insurrezione e repressione nel 1848. Gli acresi nella battaglia di Spezzano Albanese.

Il 15 maggio del 1848, i deputati del neo parlamento erano giunti a Napoli per prestare giuramento. Aperta la seduta, i più intransigenti, presentavano una richiesta di modificare parte della costituzione su cui avrebbero dovuto giurare. Il Re opponeva un netto rifiuto opposto e veniva accusato di essere spergiuro. Mentre i deputati negoziavano, gli animi si esasperavano e venivano fatti arrestare alcuni deputati. Venivano fatte uscire immediatamente dalle caserme le truppe di fronte alle quali il popolo presente in piazza, iniziava ad innalzare barricate in via Toledo e in via Santa Brigida, e in altre parti della città. Partiva qualche colpo di fucile, i soldati si scatenarono sui dimostranti trucidando tutti coloro che venivano trovati con le armi in pugno. Molti degli arrestati venivano rinchiusi su una nave ancorata al porto. Il Re scioglieva il parlamento, la guardia nazionale e proclamava lo stato d’assedio. Alcuni deputati riuscivano a fuggire e a rifugiarsi a Malta, mentre i calabresi riuscivano ad arrivare nelle loro province, dove nel mese di maggio si costituivano iniziavano a costituirsi spontaneamente dei comitati di salute pubblica.

Mentre il Re sull’esempio di quanto avevano fatto Pio IX e Leopoldo di Toscana, ordinava il richiamo delle truppe, partite per sostenere il Piemonte di Carlo Alberto, che faceva aumentare l’agitazione nelle province del Regno, specie nelle Calabrie. Ma i

diversi comitati di salute pubblica, non riuscivano a concordare un’azione unitaria, favorendo così la reazione del Borbone.

A Cosenza si formava addirittura un governo provvisorio che iniziava ad organizzarsi militarmente.

Si iniziavano a raccogliere armi e uomini. Dalla Sicilia arrivava il 12 giugno un corpo di seicento uomini al comando dei colonnelli

Ribotti e Longo. Il primo veniva nominato capo supremo di tutte le forze degli insorti, che erano poche migliaia raccolte nella regione. A reprimere l’insurrezione calabrese, il Governo di Napoli inviava tre corpi armati per ristabilire l’ordine. Le truppe regie, meglio organizzate, disciplinate e meglio armate, riuscivano ad infliggere una dura sconfitta ai calabresi a Campotenese e a Spezzano Albanese il 27 giugno del 1848.

Alla battaglia di Spezzano Albanese partecipava la Guardia nazionale acrese composta da circa cento militi al comando del “Capo nazionale” Vincenzo Sprovieri che raggiungeva il campo di Spezzano il 19 giugno del 1848 per sostenere l’esercito calabrese al comando del generale Ribotti. Gli acresi assieme ad altri volontari dei paesi vicini costituivano la 5a Compagnia il cui comando veniva affidato a Vincenzo Sprovieri, nominato Capitano. I volontari acresi erano 67 di cui 14 “galantuomini”: il capo nazionale era Vincenzo Sprovieri, come capi c’erano anche Pier Angelo Feraco Summudro e Angelo Perri Monaca.

Le truppe borboniche adeguatamente allestite infliggevano, il 27 giugno del 1848, una dura sconfitta ai calabresi a Spezzano Albanese e Campotenese. Per la disfatta subita, Vincenzo Padula componeva una poesia, che era una violenta invettiva, contro i calabresi, che avevano buttato le armi e si erano dati alla fuga senza combattere.

Successivamente il poeta precisava, in una nota alla poesia scritta nel 1848, quanto segue,

“Scrissi questi versi in un primo impeto di dolore e fui un poco ingiusto, perché ai nostri per vincere i regi, non mancò né il valore, né la forza, né il coraggio ma fece difetto ciò, senza cui quelle doti sono sempre inefficaci: la concordia”

Per la disfatta

Degl’ insorti calabresi

……….

Deh! Mi ponete sugli occhi un velo,

Mi si nasconda tanta sciagura;

L’antica gloria del nostro cielo

In un sol giorno smonta e s’oscura;

il nostro nome vile si rese

Non mi chiamate più calabrese!

………

Gli acresi Donato Salvidio e Francesco Sprovieri nella Ia guerra d’indipendenza.

Alla 1a guerra d’indipendenza, del 23 marzo 1848-22 agosto 1849, partecipavano come volontari, gli acresi Donato Salvidio e Francesco Sprovieri.

Donato Salvidio studente all’università di Napoli nel 1848, quando si trovava in città la bellissima patriota contessa Cristina Trivulzio di Belgioioso, che appresa la notizia dell’insurrezione del Lombardo-Veneto, riusciva, in pochissimo tempo, a noleggiare una nave, ad arruolare un battaglione di 200 volontari, ribattezzato “battaglione Belgioioso”, e a raggiungere Milano, che veniva liberata il 6 aprile. Fra i volontari che si imbarcavano, c’era Donato Salvidio.

Quando il Radetzky, approfittando dell’inazione dei piemontesi, il 10 giugno del 1848, attaccava Vicenza, costringendola alla resa. “La battaglia di Vicenza, una delle più sanguinose di quella guerra, costò agli italiani 203 morti e 1665 feriti; agli austriaci 141 morti, 549 feriti e 140 dispersi.”,

In questa battaglia combatteva contro gli austriaci, Donato che rimaneva mortalmente ferito. Soccorso da una nobile famiglia di patrioti, veniva curato e tenuto nascosto fino a quando ripresosi, riusciva ad evadere dal Veneto e raggiungere la famiglia.

Francesco Sprovieri, faceva parte del 2° battaglione di volontari, al comando di Guglielmo Pepe, vecchio e valoroso soldato, che contrariamente agli ordini ricevuti il Pepe continuava impavido la sua marcia con i volontari e con le poche truppe rimaste, verso Venezia dove il Manin il 3 giugno, aveva proclamato la repubblica e costituito un governo provvisorio. Assalita da ingenti forze.La città, priva di viveri e mezzi di difesa, colpita dal colera che mieteva numerosissime vittime era costretta ad arrendersi, e Daniele Manin il 22 agosto del 1849 era costretto a firmare la resa.

Sprovieri riusciva a salvarsi imbarcandosi con molti compagni su di una piccola nave a vela, e a raggiungere la Grecia da dove riparava a Malta e poi raggiungeva Genova.

La reazione dopo il 1848

L’ azione repressiva iniziata il 15 maggio del 1848 toccava, il suo apice nel marzo del 1849 quando, tutti i più influenti liberali e democratici, che non erano riusciti ad emigrare in tempo, furono arrestati nel corso del ’49 e ’50 a Napoli e nelle province. Moltissimi i perseguitati tra questi gli acresi Vincenzo Padula, Vincenzo Sprovieri e Vincenzo Molinari.

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Vincenzo Padula

Vincenzo Padula per aver sostenuto il diritto dei comuni ad ottenere le restituzione delle terre demaniali usurpate e distribuirle ai contadini poveri, veniva bollato come “comunista e fochista”. Per questo era vittima di una vile aggressione ordinata dai grandi agrari

di Acri che veniva organizzata e perpetrata nel settembre del 1848, Sottoposto a sorveglianza poliziesca, impedito nella predicazione e nell’insegnamento era costretto ad abbandonare Acri e per vivere era costretto a fare il precettore privato in casa di alcune nobili famiglie di Rossano, Policastro, Crotone.

Vincenzo Sprovieri, di Michele di anni 38, di Acri per l’attività svolta, subiva un processo accusato di;

1° Voci sediziose, ed aggregazione a bande armate per resistere alle Regie Truppe e cambiare il governo nell’anno 1848,

2° Usurpazione qualificata, e danneggi consumati con pubblica violenza in pregiudizio di D. Gennaro Baffi, ed altri proprietari di Acri.

3° Corrispondenza con malfattori in comitiva armata nell’anno 1848.

4° Danno volontario, e guasto di valore di oltre ducati 100 mercé la recisione di alberi con pubblica violenza, ed asportazione di armi vietate in danno di Salvatore Vangieri di S. Giorgio, in aprile 1848.

5° Avere spinto direttamente gli abitanti del Comune di Acri ad armarsi al fine di distruggere la Forma del Governo in giugno 1848.

Con decisione del 15 febbraio 1853, in contumacia fu condannato alla pena di 25 anni di ferri.

Discordanti sono versioni sulla sua evasione dal carcere di Vincenzo Sprovieri. Secondo Vincenzo Padula, riusciva ad uscire dal carcere e poi fuggire per un falso certificato di malattia rilasciatogli dal padre Carlo Maria, medico condotto del Comune, che per questo motivo, poi “perdette l’impiego di medico comunale.”[1] Mentre Francesco Spezzano riporta che, riusciva ad evadere, dopo aver corrotto i secondini con una forte somma, e travestito di frate cappuccino riusciva a raggiungere Napoli.

Anche Vincenzo Molinari, che come riporta Davide Andreotti nella sua “Storia dei Cosentini”, assieme ai fratelli Mauro di San Demetrio, era tra i giovani molto attivi a cospirare contro il Borbone e a preparare la riscossa nel Regno, sarà vittima della dura reazione seguita contro coloro che erano tati animatori della rivolta del 1848. Costretto a chiudere il suo Istituto, sorvegliato speciale della polizia, sottoposto ad umiliazioni di ogni genere, si trasferiva di nuovo a Napoli, dove aveva vissuto per molti anni e aveva buone amicizie.

La delusione seguita al fallimento dell’insurrezione, le minacce e le discriminazioni subite da molti, la paura che gravi provvedimenti si dovevano applicare ai sostenitori, creava in molti ansia e agitazione da spingere, addirittura, qualcuno al suicidio. Infatti, Giacomo Marchianò, del fu Francesco e di Gaetana Capalbo, nativo di San Cosmo Albanese, ma residente in Acri, paese della madre, aveva partecipato con i volontari acresi ai combattimenti avvenuti a Spezzano Albanese. Dopo poco tempo si suicidava per il dispiacere della ritornata restaurazione.

L’acrese Francesco Sprovieri nella Seconda guerra d’indipendenza (27 aprile 1859-12 luglio 1859).

La IIa guerra d’indipendenza fu combattuta dall’Italia alleata dalla Francia contro l’Austria dal 9 aprile all’11 luglio 1859. Preparata con gli accordi di Plombiers, iniziava con l’attacco dell’Austria al Piemonte, che non aveva accettato di smobilitare la brigata dei volontari dei Cacciatori delle Alpi, al comando di Garibaldi.

Tra i volontari dei Cacciatori delle Alpi, c’era l’acrese Francesco Sprovieri, che si arruolava a Cuneo. Ricorda che, occupato Varese e poi Como, incontravano una dura resistenza al forte di Laveno, sul Lago Maggiore e nel violento combattimento presso Chiasso Sprovieri veniva ferito gravemente. Si riprese dopo lungo tempo restando col braccio storpio. Pei fatti di Laveno veniva decorato della medaglia d’argento al valor militare. Rimessosi dalla grave ferita al braccio che lo aveva reso storpio, rimaneva a Milano dall’ottobre del ’59 all’aprile del ’60. Partirà da Quarto (GE) a maggio con i Mille di Garibaldi.

Gli Acresi nella Spedizione dei Mille (5 maggio 1860-26 ottobre 1860). I fratelli Sprovieri e i 10 garibaldini acresi.

Francesco Sprovieri
Francesco Sprovieri

Tra i 1.162 volontari che nella notte tra il 5 e 6 maggio 1860, s’imbarcavano a Quarto presso Genova dopo essersi impadroniti di due navi a vapore il Piemonte e il Lombardo, c’era l’acrese Francesco Sprovieri.

A Francesco veniva affidato il comando della 3a Compagnia Cacciatori delle Alpi di cui facevano parte, numerosi calabresi.

Giunti a Salemi, si rinforzavano con i nuovi volontari, giovani siciliani e calabresi che erano andati ad incontrarli. Fra questi c’erano diversi calabresi tra cui: Sprovieri Vincenzo di Acri, Mauro Raffaele e Mauro Domenico di S. Demetrio Corone, Plutino Antonio di Reggio Calabria, Bianchi Ferdinando di Bianchi, De Nobile Alberto di Catanzaro, Stocco Francesco di Decollatura che venivano aggregati alla 3a Compagnia.

Nella battaglia conclusiva sul Volturno, (26 settembre-2 ottobre) dove Garibaldi batteva i borbonici, Francesco che era stato promosso, Tenente-Colonnello, ricordava che: “Eravamo quattro fratelli, di cui tre facevano parte dell’esercito meridionale, e tutte e tre sotto le mura di Capua: Giuseppe, comandante di una Legione di calabresi della provincia di Cosenza; Vincenzo già condannato a morte dal governo borbonico che ebbe poi commutata la pena a 30 anni di ferri, fu uno dei Mille e poi colonnello nell’intendenza militare: e finalmente lo scrivente; il più giovane Angelo, nel carcere prese una malattia, dalla quale non è più guarito.

I garibaldini acresi al comando di Giuseppe Sprovieri e di Francesco Sprovieri.

Questi i 10 garibaldini acresi che come “soldati volontari” nella “Legione calabrese” al comando del colonnello Giuseppe Sprovieri” hanno preso parte alla campagna di guerra del 1860 dell’Italia Meridionale che si distinsero nella presa di Capua il 1° e 2 novembre, e che verranno congedati a norma del R.D. l’11 novembre 1860.

1) Caruso Angelo. 2) De Silva Mario 3) Falcone Agostino. 4) Guido Salvatore Giacinto. 5) Lo Giudice Tommaso; 6) Perri Luigi. 7) Ritacco Pasquale. 8) Scaglione Pasquale. 9) Scarlato Achille.10) Vaglica Biagio Tommaso.

Mentre 8 erano gli acresi che partecipavano come soldati volontari alla Campagna di guerra del 1860 dell’Italia Meridionale” con il 5° Rgt. del colonnello Francesco Sprovieri, 2a Brigata De Milbitz, 16a Divisione Cosenza e nella 5a Brigata Musolino 17a Divisione Medici.

1) Algieri Antonio

2) Barone (riportato erroneamente Capone) Marco Aurelio.

3) Ferraro Domenico.

4) Fusaro Matteo.

5) Groccia Pietro,

6) Nicoletti Alessandro.

7) Ritacco Luigi. Sergente nella Legione Calabra comandata dal colonnello Francesco Sprovieri che si distinse nella presa di Santa Maria Capua Vetere.

8) Russo Francesco.

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Lettere di Giuseppe Garibaldi a Michele Sprovieri, padre di Francesco
Lettere di Giuseppe Garibaldi a Michele Sprovieri, padre di Francesco

 

Il mancato arruolamento nei Mille di altri acresi

Non riusciva ad entrare, nell’esercito Garibaldino di passaggio a Cosenza, Francesco Falcone, fratello di Giambattista.

Anche Benimiano Feraudo e 4 suoi amici, Donato Salvidio, Vincenzo Luzzi e Nicola Ajello non riuscendo ad arruolarsi nell’esercito, decidevano di proseguire a piedi il viaggio verso Napoli. Beniamino, colpito da malaria e convalescente a Napoli, scriverà al suo caro amico Francesco Maria De Simone 7 lettere, dal 18 settembre al 24 dicembre 1860, in cui racconta il le vicissitudini del viaggio per raggiungere Gaeta e poi Santa Maria Capua Vetere; della febbre che lo aveva colpito e del suo rientro in Napoli per farsi curare, seguito dai suoi amici; degli accadimenti nella città e infine del rientro in Acri la fine di dicembre del 1860.

Gli Acresi nella Terza guerra d’indipendenza (20 giugno 1866- 12 agosto 1866) e nella “Campagna dell’Agro Romano per la liberazione di Roma” (28 settembre- 3 novembre 1867).

La Terza guerra d’indipendenza veniva combattuta dal Regno d’Italia alleata con la Prussia contro l’Austria tra il 20 giugno e il 12 agosto 1866.

Nella guerra, il corpo dei volontari, denominato “Cacciatori delle Alpi” veniva affidato a Giuseppe Garibaldi, col compito di difendere il Lago di Garda e i paesi delle valli lombarde per impedire la comunicazione tra il Tirolo e l’armata austriaca in Italia. Vi partecipavano 12 volontari acresi e Francesco Sprovieri. Questi col grado di tenente colonnello, si distingueva nella battaglia di Condino e dove per aver tenuto, “la posizione affidatagli con valore e fermezza”, veniva, poi, decorato di medaglia d’argento al valor militare e promosso colonnello.

Mentre 12 erano i volontari acresi, che combattevano con Garibaldi e che, tranne Renzo Francesco, lo avevano già seguito nella Spedizione dei Mille, erano: Algieri Antonio di Nunziato manovale; Capone Marco Aurelio di ignoti; De Silva Mario, residente ma non nato ad Acri; Falcone Annunziato, fu Gaetano; Ferraro Domenico fu Giuseppe; Fusaro Matteo fu Michele; Groccia Pietro fu Francesco; Lo Giudice Gennaro Tommaso; Nicoletti Alessandro fu Vito; Renzo Francesco, fu Vincenzo; Ritacco Pasquale fu Santo; Scaglione Pasquale; Scarlato Achille.

La loro presenza è testimoniata dal Direttore dell’archivio storico di Torino, che il 14 agosto 1907, informava il Sindaco di Acri di aver trasmesso “il certificato comprovante la partecipazione alle Campagne dell’Indipendenza sotto il comando di Giuseppe Garibaldi dei controindicati, conforme a disposizioni superiori, direttamente al Ministero della Guerra- Sussidio ai Garibaldini.”

Infatti agli stessi veniva concesso il sussidio di £ 50, in esecuzione alla legge 13 giugno 1907 n.306.

Alla fine della guerra nell’agosto del 1866, Garibaldi, forte del successo, ottenuto dai suoi Cacciatori delle Alpi sugli austriaci a Bezzecca il 21 luglio, riusciva ad organizzare la “legione garibaldina”, un piccolo esercito di circa 10.000 volontari, col compito di occupare Roma. La mobilitazione, conosciuta da tutti, metteva in allarme l’esercito pontificio e consentiva a Napoleone III, difensore del papato, di preparare una spedizione in suo soccorso. I tentativi di far insorgere Roma fallivano, le truppe di Garibaldi male equipaggiate e prive di artiglieria e cavalleria venivano sconfitte definitivamente il 3 novembre a Mentana.

Nel 1898 il Governo del Regno d’Italia, Re Umberto I, riconobbe ufficialmente la campagna, concedendo a partire dal 1900, pensioni e medaglie a quanti vi avevano partecipato, estesi anche ai bersaglieri che entrarono a Roma il 20 settembre 1870.

Alla campagna del 1867 nell’Agro romano, per la Liberazione di Roma, come certificato dal sussidio di £ 50 concesso il 26 maggio 19081, partecipavano i seguenti 12 acresi,

Algieri Antonio di Nunziato manovale; Barone Marco Aurelio di ignoti; De Silva Mario, residente ma non nato ad Acri; Falcone Annunziato fu Gaetano; Ferraro Domenico fu Giuseppe; Fusaro Matteo fu Michele; Groccia Pietro fu Francesco; Lo Giudice Gennaro Tommaso; Nicoletti Alessandro fu Vito; Renzo Francesco fu Vincenzo; Ritacco Pasquale fu Santo; Scaglione Pasquale.

Non veniva accolta dalla Commissione la sola domanda di De Silva Mario perché mancava il documento di servizio “militare a prova della campagna fatta con Garibaldi e del brevetto di riconoscimento della campagna 1867 nell’agro romano”,



  1. Non è stato possibile rintracciare gli attestati nell’archivio comunale, perché per la brevità della durata della campagna, sicuramente i partecipanti non sono riusciti ad ottenere l’attestato di partecipazione che doveva essere rilasciato dal comandate della colonna o dal comandante della compagnia a cui appartenevano.